L’assenza dal posto di lavoro a causa del grave e urgente stato di depressione di un familiare non può condurre al licenziamento per giustificato motivo.
Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 1922 della Corte di Cassazione depositata il 25 gennaio 2018.
Il tema della depressione, in questi giorni in cui dovrebbe realizzarsi il tanto atteso cambio di stagione, è decisamente attuale. Se già la primavera provoca scossoni emotivi, figuriamoci il parto. Ecco quindi, che il sostegno dei parenti diventa fondamentale e chi meglio della propria mamma può essere di aiuto?
Una lavoratrice, che desiderava supportare la figlia divenuta mamma e allo stesso tempo caduta in uno stato di depressione definito grave, è stata licenziata per essersi assentata dal luogo di lavoro senza aver inoltrato, nei modi e i tempi stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo nazionale del suo comparto, la richiesta di congedo per gravi motivi familiari.
Dopo essersi rivolta al Tribunale di Teramo, dopo aver perso il giudizio di secondo grado, ella trova piena soddisfazione in Corte di Cassazione.
La ricorrente propone ricorso fondandolo su quattro motivi. Senza addentrarci nella disamina di questi motivi, rileviamo il già affermato orientamento della Corte Suprema sulla necessità di rispettare il criterio di proporzionalità tra comportamento tenuto dal lavoratore e sanzione irrogata. Di conseguenza i giudici criticano la decisione della corte territoriale di non aver tenuto conto dell’effettività e dell’urgenza delle ragioni dell’assenza, fondate proprio su una depressione post partum definita grave.
La Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione dovrà riesaminare la questione e decidere conformemente alla decisione della Cassazione.