Da parecchi anni mi occupo di scuola sia come supervisore di educatori scolastici sia come psicologa scolastica e spesso mi trovo ad affrontare situazioni di difficoltà di apprendimento, la maggior parte delle quali sono prevalentemente causate da difficoltà di tipo emotivo e affettivo.
C’è da fare una distinzione però, tra difficoltà di apprendimento e disturbi specifici di apprendimento. Nel primo caso le difficoltà che un bambino manifesta a scuola potrebbero essere causate da un disagio interiore che non permette la concentrazione e l’acquisizione delle competenze scolastiche. Nel secondo caso invece ci troviamo dinanzi ai disturbi specifici dell’apprendimento – DSA, dove si ha un quoziente intellettivo nella norma, ma la presenza, in ambiti circoscritti, di una specifica problematica può rendere più critica l’assunzione delle competenze di base.
Se l’attenzione a questi fenomeni ha portato alla comprensione del bambino e delle sue difficoltà, contemporaneamente si sta assistendo all’aumento vertiginoso di casi di ragazzi con difficoltà scolastiche. Spesso emerge l’ansia degli insegnanti nel non sapere come affrontare i diversi bisogni di questi ragazzi, sentendosi smarriti di fronte alla complessità delle certificazioni, talvolta anche di difficile comprensione.
Ma quale può essere l’origine di una difficoltà nello studio?
Forse dobbiamo ritornare al buon senso e recuperare una visione d’insieme che ci permetta di affrontare le diverse situazioni, comprendendole senza ansia. Questa situazione quasi epidemica sta travolgendo genitori, educatori ed insegnanti che sempre più spesso chiedono ai professionisti dell’apprendimento la formula magica per risolvere il problema.
Innanzitutto non si deve dimenticare che l’apprendimento non è mai stato un processo semplice, le cui radici risiedono negli strati profondi dell’anima. Infatti, per capire le difficoltà di apprendimento bisogna considerare l’importanza del patrimonio emotivo ed affettivo dell’individuo. J.Bowlby, un noto psicoanalista degli anni ’40, in “Attaccamento e Perdita. L’attaccamento alla madre”, pubblicato nel 1969, aveva ipotizzato che, affinché il comportamento esplorativo innato del bambino possa svilupparsi, è necessaria una ‘base sicura’. Il bambino deve acquisire, attraverso esperienze costanti e positive, la certezza della presenza fisica e affettiva della madre o di chi lo accudisce. Nel caso ciò non avvenisse ogni novità o esperienza nuova potrebbe essere vissuta come minacciosa e poco rassicurante. Lo studio potrebbe rimandare a luoghi fisici sconosciuti come la scuola, e psichici come le materie; il foglio bianco di per sé potrebbe rappresentare le infinite possibilità di esprimere se stessi e può avere un effetto inibitorio; un libro non ancora letto è l’ignoto ancora da scoprire, che mette di fronte al ‘non sapere’. La figura stessa dell’insegnante è inizialmente sconosciuta ed il timore naturale del nuovo, dell’estraneo, potrebbe rappresentare un’esperienza carica d’angoscia laddove il bambino non è riuscito ad interiorizzare una base sufficientemente sicura. Inoltre la prima esperienza che solitamente si fa alla scuola dell’infanzia, e a seguire alla scuola primaria, costituirà per sempre una traccia mnemonica in grado di influenzare l’individuo ed il suo approccio futuro allo studio. Per intenderci, se di fronte alla difficoltà matematica il bambino non venisse sostenuto e incoraggiato, anzi, se gli venisse detto: “non capisci la matematica” o “non sei portato per la matematica”, per quel bambino questa materia sarebbe rappresentata per sempre come una porta chiusa. Non apprenderà mai più la matematica.
Come bene ci spiega Daniela Lucangeli, docente di scienze cognitive dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova (http://www.raiscuola.rai.it/articoli/daniela-lucangeli-apprendimento-attraverso-le-emozioni/39202/default.aspx), solo attraverso le emozioni positive date da un sorriso, un abbraccio e dagli incoraggiamenti, il cervello produce neurotrasmettitori serotoninergici e dopaminergici così da permettere l’acquisizione di qualsiasi tipo di informazione. Come a dire che l’apprendimento può avvenire solo all’interno di una situazione in cui ci si sente bene e a proprio agio.
Ora se pensiamo ai giovani digitalizzati moderni si è visto attraverso vari osservatori scientifici che attualmente sembra esserci una correlazione tra l’utilizzo eccessivo di tablet, I-phone, PC, e l’aumentare dei DSA e delle difficoltà scolastiche. I bambini ed i ragazzi sono lasciati sempre più soli con la tecnologia che influenza e plasma il cervello ed il suo modo di funzionare. Il mondo emotivo e quello cognitivo finiscono per influenzarsi a vicenda ed il risultato è appunto l’aumento esponenziale delle difficoltà di apprendimento, a partire dalla lettura e dalla scrittura. Pensiamo a cosa avviene nel momento in cui un individuo è lasciato da solo davanti a internet: i movimenti oculari scorrono sulle pagine web con l’impressionante velocità di 100 parole ogni 4,4 secondi, quando, nello stesso tempo, è possibile leggerne in media solo 18 (“Adolescenti digitalmente modificati”- R.M. Scognamiglio e S.M. Russo, 2018, Mimesis/Frontiere della psiche.). Ciò significa che non c’è più il tempo necessario ad assorbire ed assimilare le informazioni, tutto è veloce e allo stesso tempo superficiale. Pensiamo al tempo in cui non c’era What’sApp, ci si scriveva lettere a mano, quindi in primis si doveva elaborare uno scritto, soffermandosi sul pensiero e la riflessione; poi bisognava tollerare quel lasso di tempo necessario per ricevere una risposta. Ora tutto avviene subito; la risposta non la si aspetta più perchè è immediata.
E’ da tempo che i pediatri mettono in guardia i genitori dal lasciare i cellulari in mano ai bambini perché i giochi e le modalità propinate hanno un effetto quasi ipnotico sulla mente e assolutamente obnubilante e distanziante su quella dell’adolescente. In fondo tanto il computer quanto la televisione portano lontano da sé, distanziano la persona da sé e dalla riflessione su di sé; il codice digitale stimola un apprendimento veloce, ma superficiale. Invece, sia la lettura sia la scrittura, passando per una via analogica stimolano processi neuronali atti ad incrementare l’elaborazione delle informazioni ed il soggetto è portato verso di sé, l’ascolto di sé e la riflessione. Tutto ciò sembra avere risvolti negativi sia sul rendimento scolastico sia su quello emotivo. Si sta assistendo, infatti, ad un sempre maggiore incremento di sintomatologie legate all’ansia e agli attacchi di panico proprio tra i ragazzi come risvolto di un deficit di capacità di simboleggiare che solo i ‘vecchi metodi’ analogici e semiotici, legati alla ricerca del significato della parola, potevano garantire. Insieme a questo o, meglio prima di ciò, la presenza fisica e mentale dei genitori costituiscono il prerequisito fondamentale di una crescita sana e indispensabile affinché i bambini prima ed i ragazzi poi non rimangano da soli con in mano mezzi potenzialmente deleteri per la salute psicofisica ed intellettiva. Questi mezzi non devono sostituire la relazione umana che è unica nel favorire lo sviluppo e l’evoluzione di un bambino.
Non è sufficiente curare la qualità del tempo che trascorriamo con i nostri figli, ma è anche la quantità che rientra nel gioco delle dinamiche relazionali. Affinché si apprenda la capacità di restare ‘soli’ tollerando il silenzio e le attese è necessario introiettare una relazione umana sufficientemente buona per utilizzare le parole di un noto pediatra e psicoanalista britannico, D.Winnicott; sarà questa capacità ad aiutare il bambino dall’interno a tollerare le frustrazioni che non solo l’apprendimento, ma la vita stessa gli porrà sempre di fronte.