Fecero i pochi metri che separavano i due edifici sotto una nevicata furibonda che sembrava voler depositare sul terreno tutta la neve che non era caduta negli anni precedenti. Le bambine erano euforiche, ne approfittarono per iniziare una breve battaglia a palle di neve, poi salirono gli scalini che portavano all’ingresso. Paludetto armeggiò con la catena e in breve aprì.
«Tenetele vicino a voi» disse «c’è poca luce e ci sono opere un po’ particolari qui dentro, non vorrei che le piccole si spaventassero».
Non fece in tempo a dire altro che le bambine avevano fatto di corsa la breve rampa di scale che portava al mezzanino, urlanti e felici.
«La maestra, la maestra!» dissero tutte insieme, indicando un disegno sul muro.
Tra le due finestre c’era una figura sfocata di donna, il viso appena accennato, il vestito scuro e un alone giallo che la contornava. Non era riconoscibile eppure le bimbe non mostrarono dubbi: era lei, era la loro maestra Margherita.
Fernanda era stata più lenta a salire ma quando la vide bene, si mise la mano alla bocca, gli occhi stralunati. Era sconvolta, sembrava sul punto di svenire. Elena la sorresse e lei riuscì a malapena a sussurrare:
«Mio Dio, Elena, hanno ragione le bambine, è lei. É la stessa del sogno che ti ho raccontato. Come è possibile?».
«Calma, signore, non diciamo stupidaggini, per favore. Quella è un’opera di Carlo Gloria, è qui dal 2001, non è la vostra maestra, di cosa state parlando? Io, io…».
Fu travolto dalle grida delle bambine, che avevano riconosciuto la maestra e protestavano, in difesa della loro certezza: era proprio lei, sicuro.
La confusione era ormai totale: le bambine urlavano, Elena sosteneva Fernanda, ma anche lei era sconvolta. il Gallerista era preso in mezzo a un vortice di pensieri, ognuno dei quali portava unicamente a una conclusione: era testimone di qualcosa che non aveva alcuna spiegazione plausibile. Quella supplente, chiunque in realtà fosse, li aveva trascinati in una ricerca che si era conclusa in un modo che lasciava più domande che risposte, li aveva trasportati tutti in un mondo irreale che rispondeva a una logica sconosciuta, casomai ce ne fosse stata una.
Nella sua vita di esperto d’arte aveva conosciuto molti artisti che si erano spinti oltre, verso mondi inesplorati, ma in questo caso, il salto era stato gigantesco. E non era arte, era qualcosa di sconosciuto, che alcuni avevano evocato, ma rimanendo nel mondo reale. La supplente Margherita, chiunque ella fosse, aveva lasciato negli occhi e nei cuori di quelle bambine un dono meraviglioso, una conoscenza sproporzionata. Non spettava a lui spezzare quell’incantesimo. Attese che le bambine si calmassero e propose di uscire.
Le bambine erano soddisfatte, avevano trovato la loro maestra e ciò bastava. Elena e Fernanda erano attonite.
La nevicata continuava, in meno di mezz’ora aveva coperto tutto con trenta centimetri di soffice manto bianco e anche questo era eccezionale.
«Mi scuso per tutto il disturbo. – disse Elena, quando furono nell’androne del palazzo – Non so cosa dirle, a parte che sono, siamo spaventate da morire. Non ci capisco niente, le lingue, le foto, il disegno… Sono completamente stordita, a questo punto».
«Non dica nulla, allora. – rispose il Gallerista – A volte mi chiedono spiegazioni su qualche opera esposta, il significato di questo o quello, il “perché”. La gente vuole sempre sapere tutto, spiegarsi tutto. Invece, negli anni, ho imparato che ci sono opere per cui ci si deve soltanto godere quell’istante, quella sensazione. E credo che in fondo sia così anche nella vita. Noi non riusciremo a spiegare niente di quella supplente, di quella donna, ma sua figlia e le compagne hanno avuto un regalo enorme da lei e lo hanno accettato con leggerezza, come conviene a sette anni, senza chiedersi niente. Forse dovremmo farlo anche noi» concluse con un accenno di sorriso.
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Racconto tratto dall’Antologia “Natale a Torino Quindici Storie intorno alla città”
Pubblicato da Neos Edizioni http://www.neosedizioni.it/