A distanza di quasi un anno dall’inizio della pandemia, sono tornata dalla Vice Commissario del Reparto di Prossimità del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Torino, Anna Maria Chiarle, per porle una domanda tanto semplice quanto scomoda.
E’ aumentato il cyberbullismo da quando abbiamo imposto ai nostri figli l’uso dei dispositivi elettronici per seguire le lezioni a distanza?
La risposta è drammaticamente sì!
La Vice Commissario mi spiega che dalle registrazioni delle videolezioni sono stati rilevati diversi frame in cui i ragazzi sono riusciti a estrarre delle fotografie o dei brevi video dei compagni di classe o degli insegnanti. Questi sono stati rimaneggiati aggiungendo delle parole che hanno trasformato l’immagine in una specie di meme tutt’altro che divertente. Questo materiale è stato immesso in rete attraverso i social network o WhatsApp ed è stato usato per attaccare, disprezzare e insultare i coetanei e i docenti.
Molti docenti e genitori increduli e scioccati dinanzi ai fatti accaduti si sono rivolti al nucleo suddetto per iniziare insieme ai ragazzi un percorso verso l’assunzione di responsabilità e consapevolezza dei propri comportamenti. Ciò che si fa, ha delle conseguenze sia reali che virtuali. Ciò che si immette nel mondo virtuale non è privo di effetti sulle persone solo perchè non si ha la percezione concreta di un gesto che altro non è che un atto persecutorio.
Tra i docenti c’è stato anche chi ha sporto vera e propria denuncia. “La loro frustrazione per non aver visto apprezzato tutto il loro impegno nel far funzionare la scuola nonostante la situazione, è stata fortissima e non potevamo far altro che accoglierla” – dice Anna Maria Chiarle. “Adesso stiamo lavorando con tutti i soggetti coinvolti per ristabilire rispetto ed equilibrio” – aggiunge.
Dai primi dati rilevati dal Reparto di Prossimità sembrano essere invece, diminuiti i casi di “sexting”.
Purtroppo però, noi genitori non potremo dormire tranquilli perchè la Vice Commissario mi fa notare che solo quando effettivamente torneremo alla “completa normalità” vedremo tutti gli effetti che la pandemia ha causato sui ragazzi. In molti adolescenti sono già aumentati gli attacchi di panico e i disturbi legati all’ansia. C’è da aspettarsi anche un incremento di casi di depressione, anoressia, e altro.
Per leggere come essere aiutati dal Reparto di Prossimità sia ora che in futuro, ove occorra, continutate a leggere dopo gli asterischi perchè bisogna sapere anche a chi rivolgersi!
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In occasione della giornata internazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, ho deciso di scoprire di cosa si occupa il Reparto di Prossimità del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Torino. Così ho incontrato la Vice Commissario, Anna Maria Chiarle.
Prossimità, come suggerisce la parola stessa, significa accanto, vicino. Per questa ragione il reparto lavora sul territorio. Interviene direttamente e indirettamente nella comunità di riferimento. Va, soprattutto, negli istituti scolastici perché sono i luoghi in cui i giovanissimi membri di una comunità interagiscono per formarsi alla vita e diventare adulti.
Il Reparto di Prossimità
Il Reparto di Prossimità del Corpo di Polizia Municipale del Comune di Torino esiste da ben 15 anni. Al suo interno un’aliquota di agenti, adeguatamente formati in psicologia, criminologia e nell’accoglienza delle vittime di atti persecutori, si occupa di disagio giovanile.
La Vice Commissario Anna Maria Chiarle mi chiarisce immediatamente, che sarebbe riduttivo e non appropriato parlare di bullismo. Il reparto interviene a seguito di una segnalazione su un minore in sofferenza e ogni volta che un soggetto (da 0 a 18 anni), è coinvolto come autore, vittima o altro in un atto di prevaricazione. Questi comportamenti possono essere tenuti da bambini o ragazzi a danno di loro pari e possono provocare danni e sofferenze da ricomporre a beneficio di tutta la comunità.
“Il lavoro di comunità è fondamentale per il cambiamento” – afferma convinta la Vice Commissario Anna Chiarle.
Le attività eseguite dal Reparto di Prossimità vanno in due direzioni:
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Preventiva attraverso l’intervento in ambito scolastico.
Il nucleo interagisce con gli istituti mediante la condivisione di protocolli di intervento con dirigenti scolastici e dei docenti. Questi devono essere in grado di riconoscere gli indicatori di disagio e di comprendere quando e come denunciare fatti riguardanti i propri allievi. Ad esempio, individuare il malessere di un singolo soggetto o scoprire dinamiche relazionali distorte all’interno di un gruppo. L’obiettivo è segnalare per tutelare.
Inoltre, propone attività sulla legalità e il rispetto delle regole da fare insieme a insegnanti, alunni e alle loro famiglie.
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Riparativa attraverso il Progetto di Giustizia Riparativa.
Successivamente alla segnalazione di un atto di prevaricazione nei confronti di un minore, gli agenti del reparto di prossimità iniziano le indagini e intraprendono il percorso di giustizia riparativa. Sentono tutte le parti coinvolte.
Dopo aver accolto la vittima mediante l’ascolto attivo dell’accaduto e la comprensione del suo stato d’animo, la riaccompagnano a scuola. Coinvolgono gli insegnanti, i compagni di classe e le rispettive famiglie per ricucire tutti insieme il tessuto della comunità coinvolta dall’accaduto. La Vice Commissario mi spiega che la fase più importante è quella educativo-formativa. “Occorre educare tutta la classe: chi ha commesso il fatto – reato, chi ha visto e ha taciuto, chi ha subito. Insegniamo a mettersi gli uni nei panni degli altri e che ad ogni azione corrispondono delle conseguenze. Mettiamo l’autore dell’atto di prevaricazione dinanzi alle proprie responsabilità.”.
Con lo scopo di giungere alla piena ricomposizione del conflitto, il colpevole inizia delle attività che lo riabilitino. Così comprende la gravità di quanto fatto e sviluppa le sue abilità positive. Le iniziative riparative o rieducative vengono svolte all’interno dello stesso istituto scolastico, soprattutto quando i reati sono commessi da infraquattordicenni. I ragazzi tra i 15 e 18 anni, invece, sono presi in carico dall’ASAI.
“Il patto educativo tra la Polizia Municipale, la scuola e i genitori ha dato i suoi frutti nella stragrande maggioranza dei casi.” – dice il Vice Commissario Chiarle.
Durante il percorso di Giustizia Riparativa, non manca mai il sostegno alla vittima e solo quando questa è pronta, avviene l’incontro con l’autore del reato, le famiglie e gli altri adulti di riferimento.
I risultati
Al compimento delle attività riparative, l’indagine si chiude. Finora il fascicolo del procedimento penale è quasi sempre stato archiviato per immaturità.
“Su circa 1000 ragazzi incontrati in questi anni, solo 5 hanno recidivato ed in genere si tratta di ragazzi con disabilità cognitiva. Nessuno dei ragazzi coinvolti ha mai abbandonato il percorso in itinere.”.
Dinanzi a questa affermazione di Anna Chiarle, resto piacevolmente stupita.
Questo testimonia il fatto che la rieducazione è possibile. La giustizia riparativa si rivela più efficace dell’applicazione del normale iter giudiziario. Inoltre, il coinvolgimento di tutte le parti coinvolte (anche dei testimoni) frena i comportamenti devianti, prima che si trasformino in reati.
Prima di salutare Anna Maria Chiarle, le chiedo se gli atti di prevaricazione di cui mi ha parlato, sono più diffusi in alcuni quartieri della città. La sua risposta è negativa. “Gli atti di prevaricazione non hanno legami con il territorio. Le scuole da cui sono arrivate molte segnalazioni e che hanno svolto con successo i nostri percorsi sono in periferia. Penso che occorra diffidare di quegli istituiti in cui sembra non accadere mai nulla di negativo perché probabilmente questo viene semplicemente tenuto nascosto.”.
Sono d’accordo con la Vice Commissario del Reparto di Prossimità: “Solo percorsi educativi condivisi realizzano davvero il cambiamento.”.