In Italia ogni anno nascono circa 32.000 bambini. Il 7% viene al mondo prima della 37a settimana di età gestazionale. A livello mondiale in base ad una ricerca di Save the Children sono più di 15 milioni i bimbi nati prematuri. Ogni anno nel mondo più di 1 milione muoiono per l’assenza di semplici rimedi che potrebbero salvarne 3 su 4. Questi piccolini nascono immaturi nei vari organi: cervello, cuore, polmoni e intestino e le loro condizioni sono gravi quanto più il parto avviene in anticipo. I neonati passano i loro primi mesi nel reparto di terapia intensiva neonatale: in un’incubatrice seguendo terapie serratissime. I piccoli e i loro genitori affrontano un “cammino” non certo facile. Proprio perché si tratta di un fenomeno diffuso che merita grande attenzione è stata istituita la “Giornata Mondiale del Bambino Prematuro”.
Durante la Giornata della Prematurità molti monumenti delle principali città italiane si colorano di viola per sensibilizzare le persone al tema.
Per soffermarci anche noi sull’argomento abbiamo pensato di intervistare Giulia una “bambina” divenuta oramai “grande”.
Ci racconta qualcosa di lei Giulia?
Sono una ragazza di 29 anni, vivo a Torino, e mi occupo di comunicazione. Il copywriting e la strategia, e in generale le parole, sono il mio più grande amore. Forse la passione per le storie è nata proprio ascoltando di come io sia nata prematura. Credo che una delle mie prime domande sia stata perché avessi una piccola cicatrice nell’incavo del gomito destro.
Cosa le hanno raccontato i Suoi genitori del giorno della Sua nascita?
Tutto. Non mi hanno mai nascosto niente e ho sempre saputo ogni dettaglio.
Mi hanno raccontato di come mia madre si fosse spaventata qualche giorno prima, di come al primo controllo la ginecologa non si fosse accorta dell’inizio del travaglio e di come, poche ore dopo, non fossero riusciti a raggiungere l’ospedale in tempo. Ho sempre saputo di essere nata in casa, poco meno che settimina, con mio padre come ostetrica che riceveva istruzioni al telefono dall’ambulanza, e di come io abbia poi passato i 3 mesi successivi in terapia intensiva neonatale al Regina Margherita.
Ho iniziato la mia vita in modo decisamente… Avventuroso!
Cosa è accaduto durante il periodo in cui lei era ricoverata nella Terapia intensiva neonatale?
Sono stata ricoverata a fine luglio. I miei genitori venivano a trovarmi ogni giorno e rimanevano più tempo possibile. Inizialmente sembrava che non dovessi farcela ma, settimana dopo settimana, miglioravo lentamente apparentemente, soprattutto quando cambiava la luna. Dopo qualche mese, mi hanno spostata nel reparto neonatale e sono tornata a casa a novembre.
Ci sono state figure significative che hanno accompagnato e sostenuto i suoi genitori?
C’è stata la vicinanza dei membri della mia famiglia e la disponibilità di medici e infermieri gentili e comprensivi, oltre a visite periodiche per tutta l’infanzia. Non hanno però, usufruito di nessun tipo di supporto psicologico.
Cosa si sentirebbe di dire ad un genitore che sta affrontando questo percorso?
Mi rendo conto che il mio caso è fortunato: sto bene e non ricordo cosa mi sia successo. Tuttavia, nel limite della mia esperienza, vorrei dire loro di affidarsi completamente a medici e infermieri, che hanno competenze tecniche ed empatiche che potranno aiutarli a superare un momento così difficile. Avere un figlio in terapia intensiva neonatale è un’esperienza emotivamente intensa e complessa:
chiedere aiuto è giusto, naturale e legittimo.