Nelle scorse settimane si è parlato molto di catcalling, ma per poco tempo e senza andare a fondo sulla natura del fenomeno.
E’ bene, però, non lasciare cadere nel vuoto le riflessioni fatte. Il catcalling è la manifestazione verbale di quella cultura maschilista, della supremazia del maschio sulla donna che, quando dal piano verbale passa al piano fattuale, si traduce in maltrattamenti, violenze sessuali e femminicidi.
Cultura, piange il cuore dirlo, di cui sono intrise ancora anche tante donne, anche se, per fortuna, sempre meno.
Il modo migliore per comprendere un fenomeno è partire dalla comprensione del nome.
Catcalling è un termine inglese e di recente conio. Origine straniera e assenza di storia ed utilizzazione nella letteratura, sono elementi che rendono particolarmente difficile trovare una definizione di questo lemma nella nostra lingua. Di fatto dietro si cela un modo di pensare, prima, e di agire, dopo.
Sul sito dell’Accademia della Crusca (che, è bene precisarlo, non ufficializza tale termine nella lingua italiana) si trova una sintesi del significato di tale termine che è:
serie di atti quali:
2) commenti volgari indirizzati al corpo della vittima o al suo atteggiamento;
3) fischi e strombazzate dall’auto;
4) domande invadenti;
5) offese e persino insulti veri e propri.
Il punto 1 è proprio una infelice traduzione! Qui, gli Accademici della Crusca, evidentemente, intendevano complimenti non nell’accezione di “lusinga”, ma di apprezzamenti focalizzati e volgari su parti intime della donna e non solo non richiesti, ma soprattutto non graditi.
La tutela del catcalling
Per ciò che attiene alla tutela penale di questo fenomeno, è bene subito chiarire che, putroppo, non esiste alcuna norma che punisca tali comportamenti. Anche quando questi risultino particolarmente pesanti, invadenti, e con riferimenti sessuali espliciti.
Persino gli “apprezzamenti” offensivi ed oltraggiosi, che sono veri e propri insulti, sono qualificabili come ingiuria, che però, dal 2016 non è più reato.
Peraltro, non si sa per quale inspiegabile ragione, nel nostro ordinamento è previsto il reato di molestie telefoniche (art. 660 cp), ma non le molestie attuate per strada.
Certo è che le molestie, per strada, non sono reato, ma neppure quelle telefoniche vengono perseguite con particolare rigore da parte delle Procure.
Si parla, quindi, di un fenomeno odioso, ma che non trova, oggi, alcuna tutela di alcuna natura: nè penale, né civile.
In qualche definizione sul web, si trova ricompreso nel fenomeno del catcalling anche il “palpeggiamento” senza il consenso della vittima.
Diversamente dalle altre, quest’ultima condotta esula dal catcalling così come generalmente inteso, e può essere inquadrata nella violenza sessuale.
Al di fuori di questa fattispecie più grave, il contrasto a questo fenomeno odioso e ripugnante, può essere portato avanti esclusivamente sul piano culturale.
Per ora, le aule di giustizia restano chiuse.
D’altronde, in un tempo in cui si discute, ancora, della “purezza” di una vittima di violenza di gruppo, oppure di ciò che una ragazza avrebbe potuto e dovuto fare per “preservarsi”, il percorso per acquisire che l’insulto, la ossessiva focalizzazione sulle parti intime di una donna mentre passeggia o fa sport e l’invito oltraggioso a subire atti sessuali sono già soprusi è ancora lunga ed impervia. Sono atti di sopraffazione e violenza, della cui valenza bisogna acquisirne consapevolezza.
Non c’è tempo da perdere. Perchè dai pensieri nascono le parole, e dalle parole nascono le azioni.
Allora è urgente che i nostri giovani acquisiscano e facciano propria la cultura del rispetto perché questa si trasformi in parole e le parole in azioni.
Fonte immagine di copertina: donnecheemigranoallestero.com