Abbiamo “incontrato” telefonicamente nei giorni scorsi la dottoressa Caterina Schiavon, semiologa e counsellor ad indirizzo sistemico – narrativo. La dottoressa Caterina Schiavon è molto esperta dei temi della comunicazione istituzionale e aziendale. Ha tra l’altro recentemente pubblicato un libro molto emozionante e potente. Il libro si intitola: “Nulla più come prima”. Nel libro ci sono le storie di ventuno autori che si sono soffermati a pensare e raccontare come il doloroso evento del Covid inciderà sul “nostro futuro”. Così è sbocciata un’antologia di racconti stimolanti che ci permettono di ragionare sul “dopo”. Data la sua esperienza di semiologa con la dottoressa Schiavon abbiamo voluto ragionare su come sia gestita in questo momento di emergenza sanitaria sia la comunicazione istituzionale che quella aziendale.
Dott.ssa Caterina Schiavon ci può parlare della comunicazione ai tempi del Covid19?
In “Nulla più come prima”, l’antologia di racconti che ho curato per Neos Editore ho definito il Covid19 un esperimento sociale involontario che al di là della retorica iniziale che voleva convincere che una umanità intera si sarebbe voluta più bene del solito e si sarebbe unita fraternamente intorno ad un unico obiettivo, non ha dato esiti rassicuranti.
Sicuramente il Covid è un fenomeno culturale e politico. Ciò che più mi ha impressionata a livello di narrazione sia giornalistica, sia istituzionale, sia commerciale è che tutte e tre assumono modalità analoghe. Il Covid ha generato uno storytelling in cui sono stati usati dei toni retorici esasperati, sono state usate delle metafore belliche, sono stati adottati procedimenti retorici basati su costruzioni a climax intorno alla paura e alla compassione esasperata. Questo momento avrebbe avuto invece bisogno di grande compostezza e sobrietà. Gli attori della comunicazione hanno per lo più evidenziato l’inadeguatezza e la dannosità del loro operato, sono entrati in contraddizione continua tra di loro, non solo hanno dato vita a dibattiti di bassissimo contenuto, ma lo hanno fatto adottando modalità discutibili e spesso condannabili. La comunicazione ha esasperato la contrapposizione tra le diverse voci…: i virologi dicevano una cosa, altri affermavano l’opposto… i medici sembravano coinvolti in una gara a far emergere la dichiarazione con il maggior grado di notiziabilità e visibilità. Precisiamo… Siamo ovviamente in libertà di opinione è giusto che la scienza non assuma un unico punto di vista. Libertà democratica e scientifica vanno di pari passo. Ma quando la comunicazione gioca il gioco dell’esasperazione delle differenze crea confusione e disorientamento. Perché un giorno c’è chi dice che il Covid è solo un’influenza, chi dice che è come la peste bubbonica, chi dice che finirà domani chi invece non finirà mai…. Di punto in bianco abbiamo assistito all’irruzione del caos, dell’elemento fuori controllo, della variabile impazzita, in uno scenario che, magari illudendoci, pensavamo e vivevamo come ordinato e controllabile. Le categorie antropologiche che sono alla base del nostro pensiero danno vita ad una opposizione semantica importante che vede il caos opposto al cosmo, la luce al buio, la vita alla morte, la salute alla malattia. Tendiamo a percepire opposte tali categorie e ci sforziamo di non creare contaminazioni tra una e l’altra. Il Covid ha infranto le regole, del resto è un potente contaminatore, ha stravolto le nostre sicurezze, ha minato le nostre certezze mettendo a rischio la nostra capacità di restare lucidi, di agire con buon senso e consapevolezza. La comunicazione ha una forte responsabilità, non può fare il gioco del caos, del disordine, dello sconvolgimento
Quindi…Come stanno reagendo le persone?
Il Covid ha fatto irruzione nella nostra illusione di controllo. Le persone non ci stanno capendo nulla perché nella gestione dell’emergenza domina la confusione … confusione si innesta sulla confusione, disordine su disordine, il risultato è un cortocircuito dannosissimo. Le persone in questo momento stanno assumendo troppo spesso atteggiamenti bellicosi e offensivi. Da quando tutto è iniziato sembra che la disciplina più praticata sia la ricerca dei colpevoli. È pur vero che ci sono dei comportamenti irresponsabili… ma non bisogna dimenticare che la ricerca del colpevole ricorda tanto la caccia alle streghe e agli untori … trovare qualcuno da colpevolizzare a cui dare la colpa… non è così che si porta avanti un’emergenza.
Caterina, proviamo ad approfondire evidenziando problemi e prospettive
La comunicazione istituzionale: poco efficace, spesso dannosa, confusiva e ondivaga: a colpi di schemi, tabelle, numeri, tutorial (pensiamo solo alle ultime tabelle che dividono il paese in zone rosse, arancioni, gialle e che suddividono le stesse in ore, luoghi, giornate …) ha finito per non rappresentare una fonte di informazione. Abbiamo visto tutorial e tabelle ovunque… Non si arriva ad avvicinare le persone attraverso numeri, tabelle e prescrizioni, attraverso una presunta razionalità declinata in cifre. L’eccesso (di razionalità, di informazioni, di esposizioni ad immagini dolorose e strazianti) produce allontanamento, rifiuto e anestetizzazione. Non è facile trovare soluzioni per una comunicazione in grado di creare consapevolezza e capacità di trasformare i circoli viziosi in virtuosi, ma l’adozione di modalità più empatiche sarebbe senza dubbio una strategia che porterebbe migliori risultati rispetto a quelli che sono sotto i nostri occhi.
Come counsellor sappiamo che… Le parole che si usano hanno “un peso” …
Sì, bisogna fare attenzione alla terminologia utilizzata. Molti hanno rilevato l’abuso di termini e metafore guerresche nella narrazione del Covid (“bisogna abbattere questo virus” “il nemico da combattere”, ‘gli eroi in prima linea’, la trincea dell’ospedale” ecc.). Noi counsellor sappiamo benissimo che le parole hanno un peso e hanno il potere creativo: evocano scenari e con essi eventi e ruoli. Se le persone si sentono chiamate ad agire in uno scenario bellico, si sentiranno in dovere (più o meno consapevolmente) di interpretare ruoli adeguati allo scenario stesso. Il valore della metafora è potente, lo sappiamo bene, e se la metafora è bellica il risultato non può essere pacifico (solo per fare un esempio: se gli infermieri sono eroi o angeli di certo in qualche luogo si nascondono diavoli e antagonisti; se il Covid ci mette in trincea noi dovranno trasformarci in soldati armati; se i piani del nemico sono segreti e infidi, noi dovremmo trasformarci in spie e sceriffi armati …).
Caterina, forse un valore che è mancato è l’autorevolezza nelle comunicazioni?
Sì, è vero. Le figura autorevoli, tutor, insegnanti, maestri, counsellor declinano la loro relazione in termini di accoglienza e confronto senza ricorrere ad imposizioni, forzature, elargizioni continue di consigli (che come ben sappiamo risultano per lo più inefficaci se non compresi ed elaborati). Se al contrario il messaggio adotta il modo imperativo la comunicazione diviene una imposizione. In questi mesi le comunicazioni sono ricorse di continuo al modo imperativo: dovete lavarvi le mani, dovete fare questo, dovete fare quello… Il destinatario negli spot veniva trattato come un bambino piccolo e irresponsabile. L’imperativo non fa crescere insieme nelle convinzioni, non fa capire, non genera un circolo virtuoso.
Dott.ssa Caterina Schiavon riesce a darci una breve fotografia degli altri paesi europei sulla comunicazione istituzionale utilizzata?
La Francia in alcune comunicazioni ha scelto di esasperare ancora di più i toni. Negli spot facevano vedere le persone intubate agonizzanti… Mentre un esempio positivo è quello della Germania dove la comunicazione è stata basata sull’ironia che se usata in giusta misura fa prendere il distacco e guardare le cose da fuori. Riesci così a mantenere la giusta distanza. L’importante e che non sia eccessiva altrimenti diventa sarcasmo. L’ironia è uno strumento molto potente. Se tu hai una giusta distanza puoi far passare dei messaggi efficacissimi.
Caterina Schiavon proviamo a soffermarci ora sulla comunicazione commerciale…
In tempo di Covid i brand aziendali hanno reagito in tre modi diversi: alcuni marchi hanno scelto di sospendere le comunicazioni perché in una situazione così grave non sapevano come comunicare ESEMPI; altri hanno percorso un’altra strada che è stata quella di continuare a trasmettere le stesse pubblicità che andavano on-air prima del Covid e mostravano gruppi di amici festosi, serate in discoteca, più famiglie riunite a tavola come se non fosse successo niente; altri ancora hanno proposto comunicazioni enfatiche anche in questo caso spingendo sul pedale della retorica: “torneremo ad abbracciarci”, “ad amarci”, ad “essere di nuovo vicini”, “ce la faremo insieme” ecc. Queste scelte non si sono mostrate efficaci perché in certi casi le comunicazioni non si rivelavano in sintonia con quello che stavamo vivendo (quelle allegre che ignoravano il Covid), in altri casi risultavano irritanti (quelle enfatiche e moralizzanti), in altri casi ancora sembravano registrare la propria impotenza verso un fenomeno nuovo (le comunicazioni che hanno scelto il silenzio). Rare le comunicazioni che con leggerezza hanno saputo efficacemente far sentire le aziende vicine ai consumatori.
Qual è il suo auspicio?
Comprendo che sia complesso veicolare con leggerezza attraverso le comunicazioni istituzionali e commerciali messaggi autorevoli, sobri, attenti ed accoglienti, ma è una sfida che tutti dovrebbero porsi. Importante avere chiaro che comunicare è un fatto culturale. La comunicazione confusa a cui siamo sottoposti in tempo di Covid è figlia di una regressione culturale iniziata ben prima del Covid. Tale regressione rappresenta il miglior terreno per il radicamento dei populismi che proliferano nella confusione, nel disorientamento e nelle situazioni generanti crisi identitarie con la conseguente strumentalizzazione politica della morte, della malattia e del dolore.