Codice Rosso: novità e approfondimenti

Lo scorso 9 agosto è entrata in vigore la Legge n. 69 del 19 luglio 2019, ossia il cosiddetto “Codice Rosso”, introducendo importanti novità su un tema di evidente urgenza sociale: la violenza di genere e sulle donne.

Sono state apportate modifiche sia al Codice Penale che al Codice di Procedura Penale in quanto sono state aggiunte delle fattispecie di reato e sono state rimaneggiate le norme relative all’iter da percorrere per perseguire gli atti di violenza e alle pene da applicare. Inoltre, è stata rivista la posizione dei minori coinvolti direttamente o meno nei fatti.

“Codice Rosso”, novità soprattutto nei termini

Le modifiche apportate agli artt. 347, 360 e 372 del Codice di Procedura Penale riguardano:

  • La Polizia Giudiziaria deve riferire, senza ritardo, la notizia di reato al Pubblico Ministero, in forma scritta. Nei casi di particolare urgenza la comunicazione può essere data anche in forma orale.
  • Nei casi di violenza domestica o di genere, il Pubblico Ministero assume informazioni dalla persona offesa dal reato o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato a meno che non prevalgano ragioni di riservatezza delle indagini, anche a protezione della vittima, o esigenze di tutela dei minori.
  • Le attività di indagine compiute personalmente dal Pubblico Ministero o da questi delegate alla Polizia Giudiziaria devono essere compiute senza ritardo.

Le novità riguardanti la violenza sessuale sono diverse. Accantonando per un momento le circostanze aggravanti e i conseguenti aumenti di pena, va rilevato che le vittime di violenza sessuale possono sporgere querela fino a 12 mesi dal fatto e non più entro 6 mesi.

I nuovi reati previsti dal “Codice Rosso”

Grazie alla Legge 69 del 19 luglio 2019, il Codice Penale annovera 4 nuovi reati che mirano a combattere fenomeni in crescita come le bambine promesse in matrimonio o la diffusione di immagini senza il consenso della persona ritratta.

  • Chiunque costringe, con minaccia o violenza, una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a 5 anni. Il reato è aggravato quando commesso in danno di minori; si procede anche se il fatto è commesso all’estero da o in danno di una persona con la cittadinanza italiana o di persona straniera residente in Italia.
  • Il ribattezzato “revenge porn” ha preso forma così: Chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video di carattere sessuale che sarebbero dovuti rimanere privati, senza il consenso di chi è ritratto e ripreso, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni. La stessa pena è applicata a chi riceve questo materiale e non interrompa la catena di diffusione. La pena si inasprisce:

— se il fatto è commesso da chi ha avuto una relazione affettiva con la persona danneggiata dalla diffusione delle immagini;

— se questa era in condizione d’inferiorità fisica o psichica o incinta;

— se è commesso avvalendosi di internet.

  • Viene introdotto il delitto di sfregio, argomentandolo in questo modo: Chiunque cagioni una lesione personale dalla quale derivi una deformazione o sfregio permanente al viso è punito con la reclusione da 8 a 14 anni. Se detta lesione causa la morte della vittima, la pena da applicare è l’ergastolo.
  • Chiunque violi il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima a cui è sottoposto, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

 

Le pene diventano più severe

Le sanzioni per i delitti a sfondo sessuale, lo stalking e i maltrattamenti già previste dal Codice Penale, aumentano:

– il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, da un intervallo compreso tra un minimo di 2 e un massimo di 6 anni, viene ora punito con un minimo di 3 e un massimo di 7;

– lo stalking diventa punibile da un minimo di 1 anno e un massimo di 6 anni e 6 mesi;

– la violenza sessuale passa da 6 a 12 anni, mentre prima andava dal minimo di 5 e il massimo di 10;

– la violenza sessuale di gruppo passa a un minimo di 8 e un massimo di 14, mentre prima era punita col minimo di 6 e il massimo di 12.

 

I minori nel “Codice Rosso”

  • I minori di anni 18 che assistono ai maltrattamenti sono ritenute persone offese dal reato.
  • Se la violenza sessuale è commessa in danno di un minore, la situazione del reo si aggrava.
  • Costituisce circostanza aggravante la dazione di denaro o la promessa di qualsiasi utilità a minori di anni 14 al fine di ottenere rapporti sessuali. La pena aumenta fino a 1/3.

 

violenza sulle donne

 

Ad un mese dalla sua entrata in vigore, la Legge 69/2019, che ha immediatamente destato opinioni contrastanti, è stata messa sotto la lente di ingrandimento dei nostri esperti: avv. Luca Massano e avv. Maria Grazia Tripodi.

L’Avvocato Penalista e Vittimologa, Maria Grazia Tripodi, ha analizzato il nome dato alla normativa e l’impronta di celerità impressa dal Legislatore.

Perché “Codice Rosso”? È davvero positivo il termine di 3 giorni per l’ascolto della vittima?

A mio giudizio, non si può prescindere, per non cadere in gravi equivoci, dall’analisi del nome dato alla legge: “Codice Rosso”.

Titolo molto accattivante, ma che non mantiene le paventate promesse in ordine alla celerità dei procedimenti per maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, stalking, lesioni e gli altri reati introdotti con la nuova legge.

“Codice Rosso” lascia intendere una particolare rapidità. Del processo, verrebbe da pensare. Pene immediate, severe e certe.

Nulla di quanto statuito dalla legge produrrà tali auspicati risultati.

In primis chiariamo che ci saranno forse pene più severe, in quanto viene inasprito tutto il sistema sanzionatorio, ma in ordine all’immediatezza ed alla certezza delle stesse, nulla è mutato rispetto alla situazione attuale.

È previsto, infatti, che la vittima di un reato (maltrattamenti, violenza sessuale, stalking e gli altri introdotti con la legge) debba essere sentita dal pubblico ministero entro tre giorni dal ricevimento della notizia di reato.

Tale estrema celerità iniziale non è supportata da alcuna norma riguardante i tempi delle indagini e del successivo processo. Ciò significa che, ammesso che la vittima sia realmente sentita entro tale stringente termine, il processo seguirà il suo corso dipendente dalla sensibilità del pubblico ministero e dal carico giudiziario dell’ufficio. Esattamente come succede ora.

Non solo. L’inosservanza di tale termine non ha alcuna conseguenza.

Cosa succederà, infatti, se il pubblico ministero sentirà la vittima il quarto giorno? O dopo un mese? Assolutamente nulla.

La vittima, quindi, verrà sentita entro tre giorni. Oppure dopo.

Da difensore di donne vittima di violenza, avrei ritenuto più efficace, ad esempio, la nomina di un difensore d’ufficio per la vittima al momento della denuncia e l’invio della stessa ai centri antiviolenza. Almeno per ciò che riguarda la Regione Piemonte, esistono due liste, una civile e una penale, di avvocati specializzati nella difesa delle donne vittime di violenza. Questo renderebbe effettivo ed efficace il fondamentale supporto giuridico alla donna che, nella delicata fase della denuncia, non sarebbe lasciata sola. Misura, peraltro, che sarebbe a costo zero – aspetto particolarmente caro al legislatore d’emergenza.

In base alla mia esperienza personale, inoltre, ho imparato che solo dopo diverse ore di colloquio con la vittima emergono quegli aspetti che sono veramente utili nel processo. Spesso le vittime non sono consapevoli del proprio status o si concentrano su particolari importanti per loro, ma poco rilevanti nel processo, trascurando aspetti che in ambito processuale sono di fondamentale importanza. Sentire la vittima velocemente e senza alcun supporto, psicologico e giuridico è, a mio avviso, un gravissimo danno, più che un aiuto alla vittima.

La vittima rischia di arrivare impreparata all’audizione e non offrire al pubblico ministero gli elementi e le fonti di prova necessari per poter sostenere l’accusa.

L’audizione, infatti, è un momento cruciale nelle indagini. È il momento nel quale emergono i fatti che saranno oggetto dell’imputazione. È il momento nel quale vengono indicati i futuri testimoni nel processo ed acquisite le prove. Difficilmente la vittima verrà sentita nuovamente, quindi ciò che non emergerà in quella sede, non emergerà più. 

Essere preparata non vuol dire “costruire a tavolino” l’accusa. Vuol dire, invece, indicare con chiarezza e circostanziare quegli elementi spesso sepolti da anni e da sofferenze inenarrabili.

Un caso pratico potrà essere chiarificatore. Una mia assistita, dopo l’ennesima volta che le rivolgevo la domanda:

“Ma suo marito la picchiava? La insultava?” Mi rispose, seccata:

“Ma avvocato, ma allora lei non ha capito nulla! Sono ore che le dico che mi violentava! Ma cosa vuole che m’importi se mi tirava uno schiaffo o se mi insultava!!”.

Per quella donna, tutto ciò che non era violenza sessuale non era così grave. Aveva imparato a sopportare tutto: le botte, gli insulti, le umiliazioni pubbliche, gli appellativi irripetibili.

Se non avessimo trascorso ore in studio a rielaborare gli episodi di maltrattamenti (insulti, botte, umiliazioni), ad individuare le persone che vi avevano assistito, quelle che avevano raccolto le confidenze, quelle che avevano visto i lividi e le aggressioni per strada, quell’uomo a quest’ora sarebbe libero.

Se la vittima fosse stata sentita senza supporto e senza avere il tempo di far emergere, grazie anche all’inestimabile lavoro del centro antiviolenza, tutto quello al quale si era “abituata” negli anni e che era diventato, in presenza di violenze più gravi, soggettivamente meno grave, i fatti di reato relativi ai maltrattamenti non sarebbero stati provati, ed il maltrattante sarebbe stato esente da qualsiasi pena. E’ inutile inasprire pene che, per mancanza di preparazione, rischiano di non essere mai irrogate.

In conclusione, questa legge, come nostro malgrado ci troviamo sempre più spesso a denunciare, è un’operazione di mera facciata che poco aggiunge alla tutela della vittima e nulla alla celerità dei processi.

 

violenza sulle donne

 

Grazie all’Avvocato Civilista Specializzato in Diritto Antidiscriminatorio, Luca Massano, possiamo approfondire l’obbligo di trasmettere i provvedimenti al Giudice Civile.

Quali sono gli interventi in ambiti diversi da quello penale? Quali sono i risvolti di questa legge sul piano civilistico?

Come si evince da quanto scritto sinora il Legislatore è intervenuto in ambito penale con modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale.

Tuttavia, l’intervento del legislatore ha coinvolto anche la disciplina extracodicistica sulla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere e marginalmente la procedura civile.

In particolare, l’intervento normativo interessa alcuni istituti quali le misure a favore degli orfani per crimini domestici e delle famiglie affidatarie. L’art. 8 del Codice Rosso ha previsto l’incremento della dotazione del fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti nonché agli orfani per crimini domestici di cui all’art. 11 L. 4/2018 (all’uopo modificato). Una quota di tale fondo è destinata per l’erogazione di borse di studio in favore degli orfani per crimini domestici e per il finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l’inserimento dei medesimi nell’attività lavorativa e per le misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie.

È stata inoltre  prevista la trasmissione obbligatoria di provvedimenti al giudice civile. Se sono in corso procedimenti civili di separazione dei coniugi o cause relative all’affidamento di minori o relative alla responsabilità genitoriale, il giudice penale deve trasmettere, senza ritardo, al giudice civile, copia dei seguenti provvedimenti: ordinanze relative a misure cautelari personali, avviso di conclusione delle indagini preliminari, provvedimento di archiviazione, sentenza in quanto adottati in relazione a un procedimento penale per un delitto di violenza domestica o di genere.

Se è positivo che sia stato introdotto l’obbligo della comunicazione tra la cancelleria penale e quella civile dei procedimenti penali a carico dei violenti, resta il problema che, molto spesso, nelle cause di separazione e affido dei minori non venga tenuta in considerazione la violenza.

Per quanto riguarda gli aspetti civilistici occorrerebbe cercare di raccordare meglio la normativa civilistica con quella penalistica, specie per quanto riguarda i procedimenti di separazione e affido che sono spesso focolai di violenza che si ripercuote sulle donne, ma anche sui figli.

L’attenzione del legislatore si concentra sulla violenza fisica e sessuale, ma esistono diverse forme di violenza altrettanto gravi, come la violenza psicologica, il plagio dei figli, l’utilizzo dei figli come proiettili contro il coniuge, l’abuso economico (oltre allo stalking che è previsto nella legge).

In questi casi occorre pensare alla formazione di operatori particolarmente qualificati in tutti i settori (dalle forze dell’ordine, agli assistenti sociali, ai giudici, agli avvocati) che sappiano cogliere sul nascere le forme di violenza emergenti e impedirle.

Se c’è un coniuge violento che esercita la violenza imponendo i suoi orari, le sue scelte, le violazioni parziali o totali del mantenimento dei figli non è possibile parlare, ad esempio, di affido condiviso.

È vero che la legge non riguarda solo separazioni o cessazione di convivenza, ma è altrettanto vero che questi sono i casi preponderanti che spesso, derivano dalla cattiva gestione delle situazioni a cui prima ho accennato.

Al Codice Rosso deve seguire un cammino condiviso fra gli operatori della giustizia penale e civile.

La nuova normativa, come ho avuto modo di dire in precedenza, dispone del trasferimento di atti compiuti in sede penale al Giudice civile, ma altrettanto dovrebbe essere previsto per la trasmissione degli atti dal Giudice civile a quello penale.

Non interessa soltanto punire chi commette violenza, ma soprattutto di impedire che venga commessa violenza.

È importante in questa delicata e complessa questione, di cui si percepiscono spesso soltanto gli aspetti cruenti, coinvolgere anche tutti gli operatori nel settore minorile civile e penale.

Una ulteriore osservazione riguarda la violenza sulle donne dei migranti che si realizza in ambiente domestico. Per queste donne, le condizioni di vita in cui vivono, la dipendenza economica totale dal compagno, la sudditanza psicologica in un ambiente in cui si sentono estranee, in alcuni casi le fa soggiacere ad una violenza quotidiana, se non di tipo fisico, sicuramente di tipo psicologico che le può indirizzare a scelte di vita umilianti.

Una ultima notazione concerne l’art. 4 del Codice Rosso che dovrebbe riguardare non solo il provvedimento del Giudice penale relativo alla mancata osservanza dell’applicazione delle misure cautelari, ma anche, ad esempio, il provvedimento del Giudice Civile con cui, in sede di separazione, uno dei coniugi lasci l’abitazione famigliare.

Ora occorre volgere lo sguardo alla prevenzione, ma ciò non può realizzarsi se non agendo in sintonia fra tutti gli operatori del diritto in sede penale e civile.

 

Ancora una volta non è stata colta l’occasione di contribuire a realizzare un vero cambiamento culturale. La legge appare rivolta soltanto a reprimere la violenza e non a prevenirla o a intervenire quando essa manifesta i primi sintomi o a bloccare situazioni che la alimentano.

 

 

AUTORI: Avv. Luca Massano, Avv. Maria Grazia Tripodi, Dott.ssa Luciana Spina

Redazione

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