“La cosa bella è che la malattia mi ha allontanato dal computer, ma mi ha riavvicinato al disegno e ai colori naturali”. Così l’illustratore e fumettista Armando Borrelli ci racconta la nascita del suo libro Un’arancia nella testa, che esce oggi su Amazon. Il libro fa parte del progetto Agricolori… Lasciano un segno. Uno degli obbiettivi di questo progetto è creare un’impresa sociale per aiutare le persone affette da un tumore, guarite e non, che non possono più lavorare o hanno difficoltà a farlo. L’impresa intende organizzare diverse attività, come laboratori di Arteterapia per la produzione di colori naturali, e aprire un Pastellificio a Torino per produrre e vendere gli Agricolori.
Illustrato e scritto da Armando, il libro racconta in modo divertente e ironico come ha scoperto nel 2016 di avere un tumore cerebrale di 8 cm, e quindi grande come un’arancia. Spiega anche come la malattia ha dato vita a Agricolori, il suo sogno sociale e imprenditoriale: “Sono diventato un Agricolore: la T di tumore è caduta, quindi Agricoltori diventa Agricolori.” I ricavi delle vendite serviranno a raccogliere fondi: per ogni libro acquistato, 1 euro sarà donato al progetto.
“Se il libro è ben supportato, secondo me avrà un bell’eco: perché cerca di sdrammatizzare il tumore. C’è sempre il timore del tumore, di parlarne”, osserva Armando. Il fumettista usa il paradosso come chiave umoristica e fa nascere il “tumorismo“: “Con l’umorismo e con il disegno, ho creato un piccolo vademecum alla gestione del tumore, molto utile anche per chi non ha mai affrontato una cosa simile.”
Ad ogni illustrazione corrisponde una frase divertente, talvolta ironica per raccontare la sua storia. Alcune frasi del primo capitolo, I segnali del tumore: “Quando tutti ti dicono che è solo stress, non è solo stress”, “Quando il medico è il primo a non vedere”, “Quando hai mal di testa, ma non è una scusa per non fare sesso”, “Quando sviene non solo più per una bella donna”. “I dottori hanno sempre i capelli con la fila di lato e gli occhiali”, “Prima frequentavi i bar, ora le barelle”, “Prima alle sei prendevi l’aperitivo, adesso ti fanno mangiare la pastina” sono alcune delle frasi che troviamo nel secondo capitolo, che racconta il ricovero in ospedale.
Il progetto
“Agricolori è nato in una giornata d’inverno molto grigia e poco colorata”, ricorda Stefano di Polito, artista ed esperto di innovazione sociale, scrittore e regista. Amici da più di vent’anni, lui e Armando hanno messo insieme una serie di elementi per dare vita al progetto nel 2017. “Siamo partiti dalla storia di Armando: il tumore che viene paragonato ad un’arancia, che per assurdo è il primo frutto che gli viene offerto dopo l’intervento, la sua volontà di continuare a lavorare, l’idea di colorare gli ospedali per renderli più accoglienti”, racconta. “Così abbiamo avuto quest’idea quasi infantile di fare i colori naturali, dalla frutta e dalla verdura.”
Nel marzo del 2018, il progetto Trapezio dell’Ufficio Pio (Compagnia San Paolo) ha deciso di accompagnare economicamente Armando per i prossimi tre anni nella realizzazione degli Agricolori. Il progetto è diviso in tre step: il primo, già avviato, è realizzare laboratori per la produzione di colori naturali: “Insegniamo ai bambini e agli adulti a produrre colori naturali, a partire dai vegetali e dalle terre: il rosso dalla rapa, il verde dallo spinacio e così via”, spiega. I laboratori possono essere ospitati in ogni luogo, in città o in campagna: agriturismi, aziende, centri sociali, ospedali, scuole, biblioteche, case ecc…
Il secondo step si è concluso oggi con la pubblicazione del libro Un’arancia nella testa. Il terzo step, grande sogno di Armando, è trasformare il progetto Agricolori in un’impresa sociale, che proporrà diverse attività per permettere il reinserimento al lavoro delle persone affette dai tumori. Attraverso partnership con le strutture ospedaliere e azioni di fundrising saranno realizzati mostre itineranti e laboratori di arteterapia per la produzione di colori naturali. Secondo Armando, l’obbiettivo è arrivare a utilizzare questi colori anche per la pittura di strutture come ospedali e case, ma anche dei giocattoli in legno, in modo che i bambini possano metterli in bocca senza rischi.
Target del progetto sono soprattutto i professionisti che fanno fatica a riprendere un percorso autonomo. Il problema è ancora più serio per i lavoratori creativi (P. IVA), senza tutela in caso di malattia. “Dopo un tumore, specialmente nel cervello, molti professionisti – ingegneri, chimici, scrittori – non riescono più a leggere, come me, o non riescono a usare la mano perché trema. Purtroppo vengono posti in un angolo e aspettano solo che gli arrivi la pensione, ma sono persone assolutamente attive che hanno bisogno di reinventarsi”, evidenzia Armando. “Perché hanno la mente liberata dal tumore, quindi ancora più grande, ancora più creativa. Una persona colta da un tumore cerebrale o da una malattia neurale è una persona con più spazio e più creatività.”
Giocare con la creazioni dei colori naturali: i laboratori per bambini (e non solo)
“I laboratori sono sempre ben accolti e ben seguiti, perché i bambini, che adesso sono abituati a vedere i colori sulla playstation, scoprono che possono produrre il colore loro stessi. La cosa triste è che i bambini non sanno più che cosa è una rapa!” Armando spiega l’utilità e l’importanza dei colori naturali per i bambini: duranti i laboratori, loro possono produrre un succo e pittare, disegnare, allo stesso tempo mettersi le dita in bocca. “E le mamme sono contente!”
Il colore ha un rapporto stretto con le emozioni. “Per esempio chiedo ‘Il rosso che cos’è?’, tutti automaticamente disegnano un cuore. Col verde disegnano la casa, perché è la speranza, la serenità. È bellissimo come riescono a disegnare quello che rappresenta effettivamente il colore”, sintetizza.
La storia di Armando
Come hai scoperto che avevi un tumore al cervello?
Come si dice a Napoli, ti racconto la mia storia come un fatterello. Io lavoravo nella comunicazione, facevo grafica pubblicitaria e animazioni, ed ero sempre sul computer. Nel 2016 ho iniziato ad avere sempre mal di testa e ho girato tanti ospedali, ma mi dicevano che era stress lavorativo. Ho iniziato anche a non vedere bene: probabilmente avevo già avuto un ictus e non me ne ero accorto. Siccome era già ottobre, i dottori hanno rimandato la risonanza magnetica a gennaio. Finché il 24 dicembre sono svenuto durante il cenone della vigilia di Natale: avevo avuto un altro ictus. Siamo andati in ospedale e dalle analisi è risultato che non era stress, come dicevano i dottori: prima hanno detto che avevo un edema, poi una macchia, poi la macchia è diventata un mandarino, e infine il mandarino è diventato un’arancia: un tumore di 8 cm. Mi hanno dato tre settimane di vita, “perché era troppo tardi”. Ma il dottore ha investito in me perché ero giovane, e mi hanno comunque operato con la massima urgenza il 2 gennaio: il capodanno l’ho festeggiato intontito di pillole per prepararmi all’operazione. Mi hanno tolto il 90% della massa tumorale: una delle più grandi difficoltà è stato far vedere alla gente il 90% tolto e non il 10% rimasto. La gente mi trattava sempre da “tumorato”, mentre mi sentivo bene ed ero fiducioso di farcela, tutti intorno a me piangevano. Quindi la cosa più difficile è stata insegnare agli altri ad essere positivi: io ero positivo e gli altri no.
Come hai avuto l’idea di disegnare e colorare con colori naturali?
Man mano che recuperavo dall’intervento, mi sono accorto che avevo dei problemi alla vista: dal lato destro non vedevo più, e mi ha colpito l’agnosia, una malattia che mi impossibilita di leggere perché il cervello non riconosce più i caratteri. Quindi a livello professionale: non potevo più scrivere, non potevo stare al computer, perché mi dava fastidio la luce. Ho ripreso a disegnare perché era l’unico mezzo per esprimermi, per raccontare le cose agli altri. L’ho fatto in maniera molto semplice, come se fosse un disegno elementare. Io penso che poi il mio disegno si evolverà come una narrazione, un discorso. Adesso si parla anche di medicina narrativa, di arteterapia. E ho visto che parlavano tanto di tumori dovuti a fattori esterni, come le vernici, i fumi, l’inquinamento, però ho notato che in ospedale la pittura era industriale, i colori che usavo erano industriali, e mi sono chiesto: perché non iniziamo a fare dei colori naturali? Ho studiato un po’ le vecchie tecniche di disegno e di pittura, prima dell’industrializzazione, quindi prima del 1850, e ho pensato di usare delle pitture vegetali, delle terre, ma comunque naturali. Così è nato il progetto Agricolori.
Il tuo libro Un’arancia nella testa, quale ispirazione hai avuto per scriverlo?
Ognuno vive il dolore a suo modo, e il problema delle persone che mi stavano accanto era progettare il loro dolore su di me: io ero positivissimo, ero io che rassicuravo gli altri. Anche quando facevo la chemioterapia, venivano a piangere davanti al letto ed io ero pieno di vita, la cosa difficile è stata insegnare loro a ridere, fargli capire che mi avevano tolto quasi tutto (n.r. il tumore). Avevano paura anche della parola tumore: “Hai il brutto male.” Io invece ho inventato il genere tumorismo: ridere sul tumore. Senza irriverenza, senza offendere gli altri: ho un grande rispetto per chi non ce la fa e per chi soffre con il tumore. Io sono stato fortunato, sono stato forte.
La gestione del malato è una cosa incredibile: quando ti operano il cervello, hai difficoltà a parlare, perché vanno a ledere delle parti neurali di gestione della voce, e all’inizio parli in modo diverso, più lento, come in slowmotion, e la gente pensa che tu sia diventato ritardato, mentre invece hai solo un problema di linguaggio dovuto all’operazione. Quindi ti parlano come ad un alieno che non capisce la sua lingua, con lunghe pause: “C-i-a-o, c-o-m-e s-t-a-i?”. Oppure siccome avevo problemi con la vista, mi portavano un cane per ciechi: io ci vedo; male, ma ci vedo.
E invece l’idea dell’impresa sociale, com’è nata?
Una cosa molto importante, che io dico a tutti quanti: tu puoi guarire, ma finché sei dipendente da qualcuno, resterai sempre malato. Per esempio, in ospedale, avevo sete e tutti quanti si affrettavano a portarmi la bottiglietta d’acqua, ma non riuscivano ad aprirla per via dell’agitazione: io la aprivo e mi sentivo guarito. Quindi ho imparato questo: indipendenza è guarigione. Qualsiasi dipendenza è una malattia: la dipendenza di una donna prostata verso un uomo, è malata, non avere dei soldi ed essere dipendente da qualcuno che te li dia, diventi malato. Quando sei indipendente, sei guarito al 100%. Se questo libro andrà bene, e sicuramente andrà bene, perché l’hanno già supervisionato i dottori e quindi è tutelato anche dall’ambiente medico, sarà un punto di partenza per la nostra impresa.
La produzione industriale dei colori è iniziata nel 1856, con la nascita dei coloranti sintetici. Prima ovviamente si utilizzavano solo colori naturali?
Fino alla prima metà dell’800, i colori erano fatti naturalmente. I primi artisti a utilizzare i colori industriali sono stati gli impressionisti, erano anche i primi artisti a usare la fotografia. I colori naturali dovevano essere prodotti ogni giorno, si conservavano per alcuni giorni con l’albume dell’uovo o con l’amido di mais, ma poi si deterioravano. Però effettivamente era tutto fatto in modo artigianale e in piccola scala: il maestro con il suo allievo, il bottegaio. La produzione in larga scala non si poteva fare. Mi piacerebbe produrre colori naturali per ambiente interni, per vivere con la natura anche nel colore: sei in una casa in città, ma vivi nella natura con i colori naturali: sarebbe bellissimo. Ma per il momento siamo solo io e Stefano, due persone, quindi già siamo molto orgogliosi di riuscire a fare i laboratori e educare le persone ai colori naturali.