Un anno di Codice Rosso: riflessioni e criticità in un caso concreto

Il 9 agosto 2019 è entrata in vigore la legge nota come “Codice Rosso”. A distanza di tempo si può riflettere sulla sua applicazione fattuale. È una legge che si pone l’obiettivo di combattere, far emergere e reprimere la violenza perpetrata ai danni di una donna in quanto donna.

Nella mia esperienza di avvocato, ho potuto appurare che alcune novità introdotte, che avevo accolto con una certa diffidenza e nella convinzione che sarebbero rimaste sul piano dei buoni propositi anzichè obiettivi perseguiti, hanno avuto, invece, un discreto riscontro.

Mi riferisco, in particolare, alla celerità con la quale vengono trattate le denunce per maltrattamenti, stalking, violenza sessuale, induzione e sfruttamento della prostituzione, per citare degli esempi.

Ho seguito personalmente diversi casi, ma uno è particolarmente emblematico.

In un anno di Codice Rosso, questo è ciò che è accaduto a Sara

Sara (naturalmente è un nome di fantasia) appartiene ad una buona famiglia. Non ha finito gli studi perché soffre, putroppo, di un disturbo psichiatrico. Parlare con Sara è come parlare con una ragazzina di 15 anni. Forse meno. Ma Sara, di anni, ne ha 32.

E’ desiderosa di compiacere il proprio interlocutore, non entra mai in conflitto con questo, chiunque esso sia. Questo la rende particolarmente vulnerabile e circuibile.

Sara, in un periodo di crisi, conosce Marco.

Marco è carino, le fa la corte e lei se ne innamora follemente.

Marco non lavora, Sara si.

A Marco piace la bella vita, le scarpe costose e i locali alla moda. Lo stipendio da cameriera di Sara non basta. E allora, come si fa? Semplice: ci si prostituisce.

In meno di 48 ore dall’idea di Marco, tramutata in un’inserzione su un sito che lui, evidentemente, già conosce, e nonostante il rifiuto di Sara, c’è già il primo appuntamento.

Non c’è via di scampo per Sara. Dentro c’è il cliente, fuori Marco a fare la guardia (e ad intascare i guadagni).

Codice Rosso

Non si può scappare, non si può più tornare indietro. Ad ogni cenno di rifiuto, scattano le minacce di raccontare tutto ai genitori, alle amiche, a tutti quelli che la conoscono. Quindi, si continua. Sara “lavora” e Marco fa la bella vita.

Sara non ce la fa a tenere tutto dentro e, una notte, trova il coraggio di confidarsi con la famiglia.

Un anno di Codice Rosso: come viene applicato

Sara viene accompagnata dai genitori al Commissariato di Polizia di zona dove trovano una Agente preparata, che capisce la situazione, raccoglie la denuncia, trasmette tutto in Procura. Vengono sentiti i testimoni, acquisiti i documenti medici, il pubblico ministero ascolta immediatamente Sara e i suoi familiari. Viene effettuata la perquisizione dell’alloggio dove abita Marco, sequestrati i computer e i cellulari. Due mesi dopo, Marco viene arrestato.

Sei mesi dopo verrà celebrato il processo e Marco viene condannato.

E’ un tempo estremamente veloce considerando che, in altri casi, ci vogliono 4 mesi affinchè una denuncia arrivi in Procura e veda assegnato un pubblico ministero che, a quel punto, comincerà le indagini.

Risolti tutti i problemi? No. Un anno di Codice Rosso vuole dire che criticità e difficoltà, soprattutto culturali, restano. Si riscontrano soprattutto tra i giovani, perché il fenomeno della violenza di genere non viene sempre riconosciuto e denunciato.

Per ciò che è la mia esperienza, qualche passo avanti è stato fatto. La Polizia vede personale sempre più preparato ad accogliere e a comprendere situazioni difficili. L’impreparazione di coloro che sono, spesso, i primi interlocutori istituzionali delle vittime, è infatti, uno degli ostacoli maggiori all’emersione del fenomeno della violenza di genere.

La speranza è che si stia abbattendo almeno questo ostacolo.

Avv. Maria Grazia Tripodi

Redazione

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