Babywearing: perché utilizzarlo

Babywearing, ne avrete già sentito parlare, è la pratica di portarsi addosso il proprio bebè. La parola babywearing, infatti, è composta da baby, bebè, e wear, indossare. Dovrebbe essere una pratica molto naturale. Sostanzialmente, il neonato che prima era all’interno del corpo della mamma passa all’esterno, ma rimane in profondo contatto con essa. L’obiettivo del babywearing è agevolare genitori e bambino in questa nuova fase della genitorialità.

Il bebè passa nove mesi dentro la pancia. In tutto questo tempo, la sua vita è al 100% legata a quella della mamma: si nutre con lo stesso cibo, percepisce gli stessi movimenti e anche le stesse sensazioni. Persino i suoni passano attraverso la pancia; non a caso si consiglia alle donne incinta di ascoltare musica classica. Potete immaginare cosa succede al neonato nel momento in cui esce dal suo piccolo universo, formato di acqua, calore e movimenti piacevoli, per venire catapultato in un mondo gigantesco e privo di contatto.

Atterraggio su Marte

Essere improvvisamente allontanato dalla mamma provoca nel bambino profondo disagio e disperazione. I secondi tra il momento in cui finisce il parto e quello in cui viene appoggiato in braccio a lei probabilmente sembrano interminabili per lui. Da un momento all’altro, la sua vita è completamente cambiata e l’unico contatto che il neonato ha con questo mondo nuovo è la sua mamma. Oppure il suo papà!

Babywearing 2

Ecco perché il babywearing aiuta a riprendere il legame che si era creato durante la gravidanza, rendendosi fonte di tranquillità per mamma e bambino. La separazione diventa più dolce. È come se la mamma gli dicesse: “Non ti lascio solo, puoi stare ancora insieme a me. Impareremo insieme, piano piano, a vivere questa nuova realtà.”

Infatti, molti studi recenti dimostrano che esiste una relazione tra il babywearing e alcune delle più frequenti problematiche dei neonati: il pianto e le coliche. Secondo la rivista Uppa, un esperimento condotto dall’American Academy of Pediatrics nel 1986 verificò che i neonati tenuti in braccio piangevano 45% in meno degli altri. Sempre sulla stessa rivista, il pediatra e neonatologo Costantino Panza, scrive: “Nelle popolazioni ‘antiche’, ossia quelle popolazioni che usano tenere fasciato il bambino all’adulto, e non in carrozzina, durante il giorno, le coliche del neonato, pur essendo presenti, sono di più breve durata e molto meno importanti.”

Cambiamenti culturali

Recentemente abbiamo parlato delle differenze tra le diverse culture nell’accudimento di mamma e bebè. Allo stesso modo, in molte culture la pratica del babywearing è sempre stata ed è tutt’ora quella più comune e utilizzata dai genitori. Soprattutto dove l’industrializzazione non è ancora arrivata, per molte popolazioni africane e indigene, portarsi addosso i neonati è assolutamente normale.

Invece nella cultura occidentale, soprattutto nei paesi di primo mondo, la pratica del babywearing è stata praticamente abolita.

Anche solo 20 anni fa era raro vedere una madre che portava il bebè nella fascia o nel marsupio. Carrozzine e passeggini erano diventati praticamente l’unico modo per trasportare i neonati.

Questi cambiamenti, arrivati insieme all’industrializzazione, derivano soprattutto dalla necessità delle mamme di allontanarsi dai propri figli, in molti casi prematuramente. Le esigenze lavorative purtroppo non sempre vengono incontro a quelle di una neomamma nei confronti del nuovo arrivato.

Bisogni fisiologici non sono vizi

Provate però a guardarvi intorno. Quante volte vi capita di vedere un bebè che strilla disperato in un passeggino? E quante volte invece vi è capitato di sentire un bebè portato nella fascia piangere? Nonostante non sia una “garanzia contro il pianto”, il babywearing è molto più vicino all’accudimento dei bisogni fisiologici del neonato. Come scrive la giornalista Esther Weber, autrice del libro Portare i Piccoli (Edizioni Il Leone Verde): “Il concetto biologico del portare non è altro che un’introduzione di massima alla ‘tendenza naturale’ (biologica) dell’uomo di portare ed essere portato, come base fondamentale per ogni ulteriore considerazione e riflessione sul tema.”.

Sempre in funzione dei cambiamenti culturali, la società è stata portata a credere che i neonati tenuti sempre in braccio siano viziati. Al contrario, l’esperienza e l’osservazione delle altre culture ci ha dimostrato che i bambini che stanno più a contatto con i genitori sono più tranquilli. Rassicurare un neonato tenendolo a contatto quando ne ha bisogno fa crescere bambini più autonomi.

Il racconto delle mamme

Oltre a ridurre crisi di pianto e coliche, il babywearing è una soluzione molto pratica perché favorisce lo svolgimento delle attività quotidiane. Inoltre, può essere utilizzato ovviamente da entrambi i genitori. Ana Ligia e Tais, due mamme brasiliane i cui figli hanno due anni, hanno utilizzato rispettivamente la fascia e il marsupio e si sono trovate molto bene.

Nei primi mesi, utilizzavo la fascia per farlo addormentare e per tranquillizzarlo quando era agitato. Nei mesi successivi il babywearing mi ha permesso di fare la spesa e altre commissioni più facilmente. Inoltre è molto comodo durante viaggi e passeggiate, soprattutto se ci sono tante salite e discese”, racconta Ana Ligia. Tais ha usato il marsupio con successo per le stesse finalità.

Ana Ligia e Francisco - babywearing Ana Ligia e Francisco

Babywearing 4 Matteo e Sara

Per me la fascia è stata un grande aiuto. Rendeva più facile l’allattamento e lo svolgimento delle attività quotidiane: riuscivo persino a lavare i piatti. Le passeggiate erano molto più tranquille quando Sara era nella fascia, non piangeva mai, anche se a portarla era il papà. Lo stesso non succedeva quando provavo a portarla nel passeggino. Attenzione, però, non tutti i bebè la approvano. Con la seconda figlia ho fatto un paio di prove, ma lei preferiva indubbiamente il passeggino. Quando si tratta di bambini, non esistono regole precise né formule magiche. Ognuno è un individuo già dal concepimento, bisogna saperli ascoltare.

Marcia Braghiroli

Marcia Braghiroli

Marcia Braghiroli, 48 anni, giornalista. Ho conseguito la laurea in Scienze della comunicazione in Brasile. Sono anche mamma, consulente alla pari per l’allattamento e catechista. Ho sempre scritto con passione: imparare a farlo in italiano è stata la mia grande sfida, ma anche una bella soddisfazione.

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