Qualche settimana fa, durante la solita routine di accompagnare le bambine a scuola (una all’elementare, l’altra alla scuola dell’infanzia), mi è capitata una situazione piacevolmente insolita: il caffè dei papà.
Mi spiego. Quante volte succede che, finendo il giro consegna figlie, incrocio una mamma e, ancora prima di riuscire a chiederle “Come stai?”, parte lo sfogo: “Che fatica uscire di casa… Ma come si fa?” “Guarda, non dirlo a me, sempre la solita storia quando è ora di prepararsi al mattino”. E ufficialmente si da il via alla condivisione delle solite situazioni che si presentano in tante famiglie.
Intanto si aggiunge un’altra mamma e propone, “Ci prendiamo un caffè?”. Senza neanche aspettare che qualcuna risponda sì, ci incamminiamo verso il bar più vicino. Mentre decidiamo se ci sediamo o se stiamo in piedi, l’argomento figli continua a scorrere come un fiume che nessuno può fermare.
Un giorno, però, mio marito ed io eravamo insieme e, invece di altre mamme, abbiamo incontrato altri papà. Mio marito, che a volte accompagna da solo le bimbe a scuola, li conosceva già entrambi: sapeva che lavoro fanno, che squadra tifano, e così via. Iniziano a chiacchierare: “Non sei di turno stamattina?”, “No, oggi faccio il pomeriggio.” “Che figura ha fatto Sempronio ieri sera: non si può sbagliare un goal come quello!”. Ho realizzato di conoscere anch’io i lavori e le preferenze di questi papà, poiché di calcio un po’ me n’intendo, come vi ho raccontato qui. Invece, delle mamme che vedo ogni mattina a malapena conosco i nomi, a volte associati ai nomi dei figli (Roberta mamma di … e così via).
Cosa succede durante il caffè
Andiamo prendere il caffè insieme a loro, e continuiamo a parlare di calcio, di lavoro e di qualsiasi cosa ci venisse in mente. “Un mio amico si è fatto scrivere sulla lapide ‘See you later!’” – “Ma questo accento milanese? Non sei mica milanese, tu? La città che non si ferma mai…” – “Che poi a Torino, fortunatamente, il lavoro non ti toglie il tempo libero e non diventa una fissa, assolutamente.” (questa è da rivedere). E l’altro, che è veramente di origine lombarda: “Avete ragione, a Milano si vive per lavorare, lavoro guadagno, spendo pretendo.”
Qualcuno esce con uno “hop hop hop din din din” e scoppiamo a ridere, loro perché avevano capito la battuta, io perché, essendo brasiliana, non conosco bene i modi di dire e non avevo capito nulla.
In 10 o 15 minuti di caffè ho riso più di quanto probabilmente avrei fatto in tutta la giornata e ho capito che, nonostante i figli siano la nostra vita e ci impegnino più di quanto avremmo mai immaginato, il tempo per un caffè in cui si parla di NIENTE può anche esserci e, soprattutto, ci fa un bene enorme. Altro che una giornata alla spa!