Ci sono delle volte in cui prima di uscire di casa, mi cambio almeno cinque volte. E non lo faccio per stare più comoda, nè per abbinare meglio i colori. Nella stragrande maggioranza dei casi lo faccio solo per paura di essere giudicata.
È inevitabile scontrarsi con la dura realtà dei commenti altrui. Quasi sempre pronti a far notare qualche difetto o mettere in risalto quell’imperfezione che volevamo nascondere a tutti i costi. Spesso queste considerazioni vengono esternate goliardicamente da persone che ci vogliono bene e che non intendono ferirci. Altre volte, invece, diventano delle vere e proprie critiche accanite che aumentano l’insicurezza del destinatario minandone autostima e credibilità agli occhi degli altri.
È in questi casi che si parla di Body Shaming. Due parole che per essere tradotte in italiano necessitano dell’utilizzo di una perifrasi più complessa dal significato tutt’altro che ambiguo: “pratica che fa vergognare qualcuno del proprio corpo o della propria apparenza”.
Moltissime le donne (famose e non) che vengono costantemente prese di mira e duramente criticate per il loro aspetto fisico, il loro modo di vestire o di acconciare i capelli. Commenti incivili e fini a se stessi che alimentano la pattumiera del Body Shaming e che troppo spesso sono stati condivisi da tante persone. In molte situazioni però, hanno trovato una dura opposizione da parte delle dirette interessate.
«Qui a Pechino sono sintonizzata sulla Bbc, considerata una delle migliori e più affidabili televisioni del mondo. Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi. Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio. E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono. Perché è l’unica cosa che conta, importa, e ci si aspetta da una giornalista. A me piacerebbe che noi tutte spingessimo verso un obiettivo, minimo, come questo. Per scardinare modelli stupidi, anacronistici, che non hanno più ragione di esistere.»
Questa è stata la replica che Giovanna Botteri ha pubblicato in una nota attraverso l’Usigrai lo scorso maggio, quando era stata coinvolta in un servizio offensivo che rimarcava la sua scarsa fantasia nell’abbigliamento e la capigliatura costantemente spettinata.
Non solo le donne sono da considerarsi vittime del Body Shaming. Sempre più frequentemente le offese e le prese in giro sono rivolte anche agli uomini, i quali devono necessariamente raggiungere un livello di virilità socialmente considerevole. E allora anche nel caso del genere maschile, la prestanza fisica diventa un obbligo, così come la giusta dose di forza e prepotenza. Se non si risponde a questi canoni, ecco che lo scherno e la derisione diventano le protagoniste dei propri rapporti sociali.
Siamo, dunque, arrivati ad un punto in cui tutte le nostre energie devono necessariamente concentrarsi sulla cancellazione di stereotipi inutili e assolutamente fuori luogo, che purtroppo sono sempre più diffusi sui social network e sul web. L’uso spregiudicato di questi mezzi, infatti, impedisce che ci sia un controllo serrato su considerazioni offensive.
Per fortuna nell’ultimo periodo, sull’onda della Body Positivity, stanno nascendo numerosi gruppi a sostegno di una sempre maggiore accettazione di sè stessi in ogni personale caratteristica e di una crescente inclusività e di tutti gli aspetti legati alle innumerevoli forme di espressione che derivano dalla nostra apparenza.
Grazie all’esplosione di questo fenomeno possiamo certamente affermare che le manifestazioni correlate alla pratica del Body Shaming avranno vita breve, ma purtroppo resta ancora tanta strada da fare.