Quest’anno più che mai abbiamo imparato a capire l’importanza della nostra salute e quanto i metodi di prevenzione siano importanti. Per questo motivo non ci stanchiamo di ricordare che Ottobre è il mese in Rosa. Vogliamo approfittare di questa occasione, per condividere con voi un incontro davvero speciale e scoprire la Medicina Narrativa.
Ludovica Brofferio, 26 anni, è un’infermiera presso L’Oncologia Ginecologica e Breast Unit dell’Ospedale Sant’Anna di Torino.
Grazie al suo talento per la scrittura e alla sua profonda sensibilità è autrice di un libro nell’ambito della Medicina Narrativa intitolato “Il tumore della mammella – storie narrate ed evidenze cliniche”. Minerva è la protagonista della narrazione, costretta ad affrontare un tumore al seno. Il libro di Ludovica rappresenta il felice connubio tra diagnosi ed esperienza di vita del paziente. Dopo aver scoperto della sua pubblicazione sulla rivista Medici Oggi, abbiamo ritenuto che fosse davvero importante approfondire il tema con lei, e le abbiamo rivolto qualche domanda.
Come nasce “Minerva” e di conseguenza il tuo libro “Il tumore della mammella – storie narrate ed evidenze cliniche”?
Minerva nasce dall’incontro fortunato con la casa editrice Springer Healthcare Italia. Avevo già collaborato con Springer in passato per un volume sulla Medicina Narrativa e le malattie neurologiche rare e quando il Direttore Generale, il Dottor Alessandro Gallo, mi ha proposto di scrivere sul tumore della mammella mi ci sono buttata a capofitto!
L’idea è stata di avvicinare narrazione e scienza. Nel libro, infatti, si segue la storia di Minerva lungo tutto il Percorso Diagnostico Terapeutico e Assistenziale del tumore della mammella. Per ogni tappa, dalla diagnosi alla cura, si trovano degli approfondimenti scientifici basati sulle ultime evidenze in letteratura. L’e-book oggi è accreditato come FAD e da diritto a 15 crediti ECM per i professionisti sanitari.
Minerva guida il lettore tra le corsie, tra i letti. Produce la sensazione di ascoltare realmente il racconto di una delle donne che fanno capolino dalle soglie delle stanze.
1 donna su 8 nel corso della propria vita si ammala di tumore mammario e Minerva è una donna tra le tante.
Per me, però, è una protagonista profonda e complessa, perché racchiude in sé qualcosa di tutte le donne che ho incontrato fino ad ora nei reparti in cui ho lavorato. Insomma, è un personaggio veritiero che pronuncia frasi realmente pronunciate dalle donne, che incontra infermieri e medici che esistono davvero, che reagisce di fronte alla malattia spontaneamente e che riflette su ciò che le accade.
Prima di incontrare la tua pubblicazione, non avevamo sentito parlare troppo spesso di Medicina Narrativa: ci puoi spiegare di cosa si tratta?
La Medicina basata sulla narrazione è nata dalla teoria di Rita Charon, un medico internista della Columbia University che nel suo libro “Narrative Medicine. Honoring the stories of illness” la definisce come “La medicina praticata con competenze narrative per riconoscere, assorbire, interpretare ed essere (com)mossi dalle storie di malattia”.
La Medicina Narrativa, per spiegarla in altre parole, è una pratica che si propone come una riconciliazione tra l’anamnesi, il resoconto dei dati, dei fatti, dei segni e dei sintomi e la storia di malattia del paziente che deve essere interpretata alla luce della storia di vita e della situazione dolorosa: pensieri, sentimenti, visioni, modi di comunicare, dubbi, paure, incertezze, sensazioni, idee, interpretazioni, reazioni e comportamenti.
Praticando la Medicina Narrativa la storia di malattia, quella vera, quella autentica del paziente e non solo quella che i sanitari tendono a raccogliere attraverso dei dati, viene assorbita, condivisa e tradotta in azione attraverso una buona pianificazione delle cure.
La donna non è più soltanto identificata secondo il suo esame istologico, secondo il tipo di chirurgia mammaria a cui è sottoposta, secondo la terapia medica che le viene proposta, ma ritorna ad essere la figlia, la mamma, la nonna, la donna in carriera, la viaggiatrice, la pittrice, la pianista, la scrittrice, l’insegnante. Le si restituisce la sua immagine e il suo ruolo che tanto faticosamente si è costruita e che la malattia rischia di spazzare via: un attimo prima sei Minerva e fai la fioraia e un attimo dopo sei la quadrantectomia del letto numero 30.
Una delle caratteristiche della tua professione è il contatto con il/la paziente e la sua storia. Anche la tua presenza, così, diventa parte integrante di quel momento della loro vita. Come riesci a conciliare l’aspetto emotivo dell’incontro e della condivisione, con la professionalità e l’assistenza del(la) paziente?
È molto difficile. Gli infermieri godono di una posizione estremamente privilegiata nel rapporto con il paziente. È un rapporto denso di quotidianità, di intimità.
Ci sono i pazienti che ti travolgono più di altri, la cui storia risuona in te per un motivo o per un altro. Alcuni pazienti scorgono nell’infermiere una sorta di recipiente in cui pigiare tutto ciò che li agita.
Sono profondamente convinta che per un infermiere o un medico sviluppare solide competenze narrative o esercitarsi alla narrazione siano delle enormi risorse.
La scrittura è una pratica riflessiva. Permette di tornare in un preciso momento, in una precisa stanza, con una precisa paziente. Permette di fare ordine, perché non solo il paziente ha bisogna di farlo, ma anche il professionista. Bisogna fare ordine tra i propri sentimenti, le proprie reazioni; riconoscere, sondare, mettere in discussione o confermare la propria visione della vita, della morte e della malattia.
Sono riflessioni importanti, ma la scrittura è una risorsa immediata, a costo zero, un buon antidoto contro la stanchezza, l’apatia, il senso di saturazione che a volte è un po’ come se soffocasse. Scrivere concede senso e legittima sentimenti e reazioni. Umanizza. Non siamo più diagnosi, numeri, divise bianche di corsa, ma persone che si guardano agire. Persone riflessive.
Quali sono le iniziative che la Brest Unit dell’Ospedale Sant’Anna ha messo in campo per il mese della prevenzione?
Purtroppo, a causa della pandemia non abbiamo organizzato nessuna nuova iniziativa. Al Sant’Anna però continuano ad operare alcune ONLUS a favore della salute della donna, della prevenzione dei tumori ginecologici, della medicina di genere e dell’umanizzazione dei luoghi di cura.
Nel nostro piccolo ci impegniamo affinchè la donna si senta accolta nei nostri servizi in tutte le fasi della malattia. Continuiamo, inoltre, a stimolare non solo la cultura della prevenzione, ma anche dell’autocura, vale a dire la potenzialità della donna di agire positivamente sulla sua convalescenza dopo l’intervento chirurgico e sul suo percorso di cura in generale.
Lavorare in Senologia non significa soltanto possedere delle competenze tecniche, ma soprattutto educative e relazionali. Supportare la donna durante la prima medicazione della ferita chirurgica nell’accettazione della propria immagine corporea alterata; aiutarla a sentirsi ancora bella e femminile nonostante i segni che inevitabilmente la malattia e le terapie lasciano; incoraggiarla a riprendere le normali attività quotidiane dopo la chirurgia, evitando, però, sforzi fisici eccessivi; indagare eventuali fragilità e insicurezze nel mantenere il ruolo sociale e familiare durante la malattia. Insomma, c’è molto da fare a fianco delle donne e ti ringrazio di avermi dato la possibilità di raccontarlo.
Ci ha inevitabilmente commosse rileggere la chiacchierata con Ludovica, e non possiamo che invitarvi a prendere visione del suo profondo libro perchè, in fondo, c’è una Minerva pronta a combattere in ognuna di noi.