Leggiamo dal sito del Ministero per la Salute che PMA sta per Procreazione Medicalmente Assistita. È una tecnica medica finalizzata al concepimento nei casi in cui questo non sia possibile in modo naturale. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita si dividono in tecniche di I, II e III livello in rapporto al grado di complessità e invasività medica e psicologica, ossia in base a quanto più si allontanano dal contesto fisiologico spontaneo.
Si passa quindi, da procedimenti più semplici di inseminazione con preparazione del liquido seminale, fino ad interventi di prelievo / trasferimento intratubarico che richiedono anestesia generale.
E’ importante sapere che nel 2017 con i nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) il Ministero ha inserito in regime ambulatoriale del Servizio Sanitario Nazionale le prestazioni necessarie per i trattamenti PMA, sia omologa (con spermatozoi interni alla coppia) che eterologa (con spermatozoi esterni alla coppia).
Nella Regione Piemonte alcuni mesi fa sono stati modificati i criteri di accesso, portando a 46 anni il limite di età per il genitore femminile e a 6 il numero di tentativi.
I centri iscritti al Registro Nazionale PMA sono attualmente 340 in tutto il territorio nazionale e indicati di seguito http://old.iss.it/site/registropma/PUB/Centri/CentriPMA.aspx
PMA: verso la genitorialità
Abbiamo incontrato una giovane coppia, anzi una giovane famiglia, che ha deciso di condividere con noi qualche riflessione sul loro percorso verso la genitorialità, sperando che possa essere di aiuto ad altre coppie.
Avere un figlio non è sempre facile – si stima che il fenomeno riguardi il 15% delle coppie – e a volte ci si interroga sul senso di certi trattamenti medico-sanitari, fino ad imbattersi in estremi come la maternità surrogata.
I nostri ospiti sono una storia a lieto fine. Li abbiamo accolti con l’anonimato e grande riconoscenza per la loro disponibilità a parlare di un tema così profondo e delicato.
Sono approdati alla PMA scoprendo che non ricorreva alcuna causa di infertilità specifica. Allora si parla di infertilità idiopatica.
Essi, come le tante coppie che decidono di ricorrere alla PMA, hanno affrontato un percorso a ostacoli in cui pochissime sono state le certezze.
Che tipo di risposta avete trovato nei servizi sanitari o ospedalieri che avete incrociato?
Noi siamo approdati a questa scelta dopo un anno in cui, pur intensificando i nostri tentativi di concepimento nei periodi fertili, i test di gravidanza non davano la sperata doppia linea.
E ci siamo arrivati anche con una discreta ansia di essere fuori tempo massimo (avevo 43 anni).
Per questo ci siamo rivolti al centro Humanitas in Lombardia, convenzionato anche con la nostra Regione.
In tutti i servizi a cui ci siamo rivolti abbiamo sempre trovato una buona competenza per quel che riguarda gli aspetti medici, condensati nei protocolli testati dalla ricerca in quest’ambito. Nella nostra esperienza la parte ospedaliera tuttavia (almeno quella in convenzione, cui ci siamo rivolti noi) è stata connotata da un turbinio di medici diversi, di numeri e statistiche, lontani da quello che dovrebbe essere il rapporto tra medico e assistito, e che invece alimentavano una sensazione di alienazione.
Sicuramente sono tante le riflessioni che accompagnano una coppia in cerca di famiglia, quali pensieri vorreste condividere? Cosa sentite di aver imparato sulla maternità e genitorialità?
Il nostro percorso sui binari della PMA è durato circa un anno in cui abbiamo fatto due tentativi (abbiamo conosciuto coppie che ne avevano fatti parecchi di più). Per noi è molto importante riconoscere che i due tentativi sono stati molto diversi fra di loro.
Nel primo ci siamo raffrontati praticamente solo con l’ospedale con cui eravamo in carico, i medici, le tecniche e le analisi previste dai protocolli. Come tante altre coppie le aspettative sul primo tentativo erano molto alte e così la delusione che ne è seguita è stata forte.
Al secondo tentativo ci siamo arrivati invece, con un approccio diverso. Avevamo conosciuto una coppia che era passata dalla nostra esperienza e ci siamo potuti confrontare con loro sugli aspetti più emotivi. Grazie a loro e ad alcune letture abbiamo capito che, oltre a riprovare con il protocollo PMA, avremmo potuto prenderci maggior cura di noi due: affiancare alle stimolazioni ormonali e all’inseminazione pratiche della medicina alternativa (agopuntura e osteopatia), superare il tabù di quello che stavamo vivendo, come se stessimo facendo una deviazione dalla normalità, per poi rientrarvi senza che nessuno se ne accorgesse.
Eravamo finalmente pronti a comunicare il nostro desiderio e la notizia del primo tentativo fallito agli amici e ai parenti più stretti, ricollegandoci a loro e beneficiando delle loro attenzioni in quello che poteva essere – è stato importante accettarlo – un desiderio anche non necessariamente realizzabile.
A quel punto abbiamo capito che la strada che stavamo percorrendo era più ampia della ricerca del nostro bambino e aveva a che fare con il nostro benessere come coppia e con le nostre relazioni importanti.
Alle coppie o alle singole donne che ad un certo punto si sentissero alienate nel seguire scrupolosamente complesse procedure di stimolazione, dosaggi ormonali indicatori di speranza, consigliamo di ripartire da quelle spiacevoli sensazioni per connettersi con altre persone, associazioni o singoli, professionisti del benessere o chi per loro possa essere in grado di riportare calore all’esperienza che stanno vivendo. Quell’ingrediente umano essenziale anche per la nuova vita che state desiderando.
Una gravidanza non riguarda solo l’utero della donna, e il concepimento di un bambino non è soltanto il successo di un protocollo.