Avete mai riflettuto su cosa significhi effettivamente ricordare? Si ricorda per non dimenticare. Sembra un gioco di parole, ma la possibilità di ricordare ha un’importanza determinante nella nostra vita, nella nostra crescita e nella nostra capacità di affrontare il futuro. Questo è il senso della memoria.
Accogliamo questa potente riflessione della dott.ssa Sarah Randaccio, Psicoterapeuta Responsabile della Struttura Dipartimentale di Psicologia all’Ospedale Sant’Anna dal 1995 al 2016.
La memoria possiede una funzione etica e storica imprescindibile.
Senza memoria del passato siamo privi di radici, senza storia, potenzialmente capaci di ripetere gli errori che solo la memoria di ciò che è accaduto può permetterci di evitare.
Certo di fronte a dolori estremi auspicare l’oblio appare l’unica soluzione per non rivivere traumi e ferite dolorose.
Rendere vivibile un ricordo, lasciarne libero accesso alla memoria, è però, nella realtà, l’unico modo per ‘lasciarlo andare’, senza traumatiche cicatrici. L’esperienza derivante dalla pratica clinica della psicologia e psicoanalisi sottolinea la funzione terapeutica del ricordare.
Solo ricordando, talvolta aiutati, possiamo iscrivere esperienze dolorose passate nel nostro registro della memoria.
Solo ricordandole possiamo ‘lasciarle’. Non si tratta di cancellare la memoria, ma di poterla aiutare ad archiviare ed inserire i ricordi nel nostro patrimonio di vita.
Il senso della memoria come chiave di un forziere
Vorrei raccontare un aneddoto della mia esperienza lavorativa all’Ospedale Sant’Anna. Tengo a dire che come donna, ebrea, psicoanalista, le tematiche del ricordo e della memoria storica, sono a me particolarmente care.
Così vi racconto un aneddoto della mia esperienza lavorativa all’Ospedale Sant’Anna. È un ricordo indelebile perché qui il ricordare si compenetra con il dovere di verità e del non-oblio e la memoria ha una funzione etica.
Anna era una giovane paziente, la seguii nel corso di una sua esperienza difficile ed altamente traumatica. Un’esperienza che doveva essere vissuta per essere resa pensabile. Anna doveva attraversare quell’esperienza per poi poterla ricordare, per continuare a vivere sapendo che il passato era esistito ma che lei, viva, “non era più lì”.
E’ stata una presa in carico dolorosa e complessa, una parte di lei, giovane adolescente, avrebbe voluto annullare il pensiero, dimenticare e mai più ricordare. A distanza di anni ricordo il turbinio di emozioni e la necessità di appoggiarmi, internamente, su salde fondamenta, professionali e personali. Queste mi permisero, nelle turbolenze, di “stare” con Anna e di fornirle un aiuto che le permettesse di stare nel dolore, di viverlo, di sopravvivere a quello che rischiava di essere per lei uno tsunami mentale e di accompagnarla nel tornare alla sua vita.
Tempo dopo, divenuta donna, Anna aveva bisogno di ricordare, trovare la chiave del ‘forziere dei ricordi’ e ‘ricucire i fili della sua esistenza’. Mi cercò, disperata. Aveva cercato, nel posto dove li aveva nascosti, le tracce, i documenti della sua storia. Erano spariti, insieme al cassetto che li conteneva.
I genitori, anni prima, li avevano bruciati e buttati. Ad Anna che disse loro “ma quella è la mia storia!” replicarono: “Di quale storia parli, quella storia non è mai esistita”.
L’impalpabile senso della memoria
Non parlo qui della memoria cartacea, ma della funzione del testimone, della verità e memoria storica. Io, compagna di viaggio di Anna, ero una testimone di una storia condivisa, di una realtà indistruttibile e non cancellabile, che conservo indelebile nella mente, una sorta di “cassetto della memoria”, che poteva essere ritrovato e riaperto.
Anna piano piano ha potuto ricordare e rendere quel passato inavvicinabile una parte della sua vita.
Credo che la funzione della memoria, attraverso il ricordo, sia tessere i fili della vita permettendo di ricucire il passato con il presente, dando forma al futuro.
Il memore ha voluto diventare immemore e ci è riuscito: a furia di negarne l’esistenza, ha espulso da sé il ricordo come si espelle un’escrezione o un parassita […] Il modo migliore per difendersi dall’invasione di memorie pesanti è impedirne l’ingresso, stendere una barriera sanitaria lungo il confine.”